Palmiro è del ’48 e quando si trattò di battezzarlo il prete si rifiutò perché era chiaro che il nome fosse un omaggio a Togliatti; il compromesso fu che gli si desse il nome del santo del giorno quindi da quel momento fu sempre Palmiro per l’anagrafe e per il mondo ma Lanfranco per la Chiesa. C’è lui di turno oggi alla Scuola di Barbiana in cui Don Milani fu sbattuto in punizione dal ’54 al ’67 come avamposto della fede a cui chiunque avrebbe rinunciato accettando piuttosto di piegarsi alle posture ipocrite della politica, della Chiesa, dei giudici, del mondo, della scuola. Non lui. Oggi lo ricordiamo per alcuni libri e lettere che hanno messo la storia davanti all’urgenza della libertà, della disobbedienza, il bisogno di avere una propria mente pensante e di lavorarci su ogni giorno. Quando ieri pomeriggio ho chiamato per prenotare una visita era tutto pieno; un posto però me l’hanno trovato in mezzo al gruppo in visita da Treviso, gente mista, bambini e anziani, professoresse e pensionati. Due ore di ascolto seduti nell’aula di Don Milani, tutti appoggiati sui tavoli e sulle sedie fatte a mano da quel gruppo di giovanissimi che lui un po’ alla volta aveva portato via dall’ignoranza, battendo sul tasto dello studio 365 giorni l’anno e pure uno in più quando era bisestile. Andò contro le famiglie e le botteghe e le fabbriche che volevano figli e operai capaci solo di portare a casa un lavoro e uno stipendio anche se non sapevano nemmeno come si scrivesse il proprio non ma lui per tutta la vita ripeté a loro e al mondo intero che un giovane che non studia non sarà mai un buon rivoluzionario e che la società ha sempre bisogno di teste capaci di fare rivoluzioni in nome dei diritti. Alla scuola di Barbiana ci si arriva nell’ultimo tratto passando a piedi in mezzo al sentiero della Costituzione, la stessa Costituzione che fingiamo di mettere al primo posto di questa Italia zoppa e divisa, mentre la smontiamo da dentro come i cuccioli di cane quando mangiano di nascosto la gommapiuma dei divani senza farsi vedere, finché il divano si sfonda. Cartelli ricordano gli articoli della Costituzione che dovremmo incarnare fin sottopelle.

Qui si dice “alla Barbianese” per dire che ognuno ci metteva il suo dentro una scuola nata dal nulla come forma di resistenza a qualsiasi mano del potere, una scuola pensata per tutti, che non lasciasse fuori nessuno, ogni giorno una lezione che partiva dalla vita, dai mestieri, dal bosco, dalla musica, dalle stelle e dal cielo, dalle paure di non farcela e dell’orgoglio di superare il maestro.

Palmiro racconta Don Milani come fosse stato il padre e sono certa che si commuove ogni volta sugli stessi inciampi dei ricordi anche se quei ricordi non sono i suoi e glieli hanno passati come una staffetta da custodire fedelmente. Ho registrato e scritto per due ore, ho scattato decine di foto dentro la Scuola ma solo per me perché tra le prime cose che ti dice Palmiro è di non pubblicarle in rete e tenerle per te: chi vuole conoscere Don Milani deve venire a Barbiana dove c’è ancora nell’aria la speranza che la scuola e lo studio siano l’unica forma di libertà. Non sono stata in grado di seguire il gruppo di Treviso al Cimitero di Barbiana per vederlo sepolto, coi cimiteri non ci sono mai andata d’accordo.

Nell’ultima stanza c’è proprio un invito a non scattare foto eppure la tentazione mi ha quasi travolta davanti alla foto mozzafiato in bianco e nero dei suoi studenti il giorno della morte di Don Milani. Era morto più di un padre, più di un maestro, più di un priore. Allora ho trascritto a mano la frase che campeggia sopra il loro dolore e tratta dal suo testamento che più umano non si può: “Ho voluto più bene a voi che a Dio ma ho speranza che lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia messo tutto sul suo conto”.Andateci a Barbiana.

A me è capitato per caso di andarci oggi, dopo anni di desiderio: proprio oggi per la Festa della Repubblica che vorrei.

(Barbiana, 25 aprile 2022)

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